Ricette che hanno il sapore dei pranzi della domenica dalla nonna in campagna. Un borgo e un percorso ad anello, dagli antipasti ai dolci, per fare un viaggio nei piatti tradizionali della cucina povera. Quelli che hanno bisogno di lunghe cotture, che hanno tre ingredienti ma se provi a rifarli non hanno “quel gusto lì” dei ricordi, che si tramandano di generazione in generazione, e che sono stati raccolti in un libro, “All’ombra del sassi bianchi”, scritto nel 1987 da Aldo Castellani e Iraldo Mangoni, trenta leggende per trenta ricette.

castellinaIl borgo è Castellina Marittima, l’occasione è la “festa della cucina povera”, organizzata da una giovanissima e attiva Pro Loco, in collaborazione con le associazioni del territorio, commercianti, ristoratori e volontari. Si parte dagli antipasti, in piazza Giaconi. Acciughe alla povera, panzanella, arista sotto’olio e chionzi. “Cosa sono? Una farinata. Farina bianca, sciolta nell’acqua a bollore, una sorta di polenta, condita con un sugo al pomodoro che ha cotto per un giorno e mezzo“. A raccontarla è Lucia, che l’ha preparata insieme alle sorelle, Danila, Anna e Maria. E a un bel gruppo di donne di tutte le età nella macelleria Vannini.

castellinaIn piazza Mazzini, di fronte al Comune, ci sono i primi. Ogni stand ha il cartello del piatto che viene proposto. C’è la zuppa lombarda, che poi perché lombarda se è una ricetta toscana? “Nel 1890 stavano costruendo il tratto ferroviario Firenze-Faenza, gli operai erano soprattutto lombardi. Facevano turni di lavoro lunghissimi e alla sera le trattorie erano chiuse. I contadini della zona offrivano loro una zuppa calda con quello che avevano in casa, pane raffermo, fagioli, olio buono”, ci raccontano i volontari dell’Auser.

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castellinaMa la “star” tra i primi è la Stracottata. A prepararla è Dario Mannari, dell’osteria Papacqua. “Rigatoni con un ragù preparato con pezzi di carne considerati meno prelibati, come il muscolo della gamba, l’ossobuco. Vengono tagliati in modo grossolano e fatti cuocere per tanto tempo. E’ un piatto che veniva preparato quando macellavano le bestie, veniva messo sul fuoco e lasciato andare tutto il giorno, finchè non avevano finito”. Dario la fa ancora oggi, nella sua osteria, “abbiamo allevamenti di mucche e maiali allo stato brado e ancora oggi usiamo tutto”.

Pochi ingredienti, quelli che non venivano venduti. Venivano messi sul fuoco e lasciati cuocere tutto il giorno

castellinaAvanti, in piazza Trieste. Il viaggio gastronomico ci porta nella terra dei secondi. E qui c’è l’imbarazzo della scelta. Ci sono i classici, come la francesina e la bracioline fritte rifatte, o i piatti più particolari, come le chiocciole o il cuore e paracuore. “Erano le parti meno pregiate – ci raccontanto, dall’allevamento Gambicorti -, il resto lo vendevano e queste parti le tenevano per i pasti. Si fanno in umido con il pomodoro”. Meno pregiati forse ma decisamente prelibati. C’è il cacciucco di capriolo, lo prepara Silvano, la ricetta è sua, e di Giovanna: polpa di capriolo nostrano, ragù a base di carne di capriolo (tutto proveniente da caccia di selezione), odori e verdure degli orti di Castellina, pane dei panifici di Castellina tostato alla brace. Tenerissimo, servito su pane con l’aglio (sennò che cacciucco eh…).

castellinaA fianco ci sono lo stoccafisso e le uova trippate di Sandra. Sono le 22.30 e lo stoccafisso è finito. “E ne avevo fatto parecchio…”. 70 chili di stoccafisso, 70 chili di cipolle, 70 chili di pomodoro, lo stoccafisso alla castellinese si fa così. Adesso la aspetta una domenica a cucinare, come per molti altri. Il sabato ha visto Castellina invasa da almeno 1200 visitatori, e gli stand a fine serata hanno le pentole vuote. Ma c’è ancora questa sera.

castellinaNoi abbiamo fatto un gustosissimo viaggio nella cucina povera, ascoltato musica e un sacco di racconti sul tempo che fu. Domenica 31 luglio, approfittatene (che a Castellina è fresco la sera, e ci sono pure i frati per chiudere in bellezza).