Vada Photo FestivalC’è una definizione che a lui piace molto: “fotografo della prossimità”. Parole che ben descrivono il lavoro di Enrico Genovesi, cecinese, uno dei protagonisti del Vada Photo Festival 2023. A lui sarà dedicato il talk in programma il 22 agosto alle 21.30 (Giardino Torre del Faro).

Un’occasione, quella del Vada Photo Festival, per scoprire le sue storie italiane, raccontate andando oltre o al di là dell’urgenza della cronaca. Storie di vita, di luoghi, di persone con un’attenzione forte per il sociale. Reportage di approfondimento, da “dentro”, dove la narrazione lascia un’impronta importante anche (o in primis) sul fotografo. Esattamente come è accaduto ad Enrico Genovesi per l’ultimo progetto, dedicato a Nomadelfia.

Quando ha iniziato ad avvicinarsi alla fotografia?
“Da appassionato, come molti, attraverso un semplice corso base di fotografia iniziato senza avere alcuna consapevolezza sulle capacità espressive del mezzo. Solo dopo e con l’esperienza mi sono reso conto che la macchina fotografica non era soltanto un oggetto fine a se stesso ma uno strumento per esprimermi in tutti ii sensi, alla pari dello strumento penna”.

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Il primo ‘racconto’ se lo ricorda?
“Era 1987. Grazie ad alcuni amici sono entrato nello zuccherificio di Cecina, dove anche io avevo lavorato come stagionale, proprio come molti altri ragazzi della mia generazione. Era l’anno dell’ultima campagna, documentai il periodo precedente alla chiusura dello stabilimento”.

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Poi le storie con risvolti sociali significativi si sono moltiplicate…
“Con la mia fotografia sono entrato all’interno dei penitenziari femminili e dentro il carcere della Gorgona, ho raccontato la vita delle persone che vivono il dramma dell’emergenza abitativa ma anche situazioni più legate al costume e al vissuto. Il mio interesse è per l’uomo, dall’ordinario allo straordinario. Mi piace entrare nei luoghi e fare esperienze dirette, sentire gli odori, stare a pelle con situazioni forti che riescono a forgiarti dal punto di vista umano”.

Quella nella comunità di Nomadelfia (piccola realtà fondata originariamente nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini, con lo scopo di dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati), confluita nell’ultimo libro, è stata una esperienza particolarmente potente. Come è nata e come si è svolta?

“Nasce da un progetto a lungo termine che alla fine ha esplorato tematiche dai valori profondi quali famiglia, accoglienza, fede, sobrietà, giustizia e fraternità. Al di là della condivisione o meno dal punto di vista religioso, per me è stata una sperienza umana indescrivibile durata 4 anni. Non è un libro che si sfoglia e basta: oltre alle 72 immagini in bianco e nero, è arricchito dai contributi testuali di Franco Arminio, Giovanna Calvenzi e Sergio Manghi. Un progetto, di cui parlerò durante il talk del 22 agosto, che è diventato realtà grazie a una raccolta fondi on line, andata tra l’altro benissimo, e oggi edito da Crowdbooks publishing”.

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